Cinema, TV & Anime

Manhattan, lo storico film di Woody Allen che ci racconta la New York degli anni 70

Proseguiamo la nostra rubrica di recensioni di film che hanno fatto la storia del cinema analizzando Manhattan film del 1979 scritto, diretto e interpretato da Woody Allen. Presentato fuori concorso al 32º Festival di Cannes, il film tratta la storia di autore televisivo, divorziato e in una relazione con una ragazza adolescente, che si innamora dell’amante di un amico sposato.

Le sequenze di immagini di New York, oltre a essere fortemente evocative, simboliche e iconiche, ci ricordano quale sia uno dei compiti primari dello scrittore e del regista: condensare la grande quantità di personaggi, luoghi, fatti, emozioni di una storia in una sintesi. Dalla sintesi infatti si può manifestare la grandezza di un artista. Le sequenze finali sono la conclusione di un’esperienza che lo spettatore ha compiuto insieme ai personaggi, con i loro tic, le loro fobie, le loro emozioni, le loro pulsioni, il loro sguardo sul mondo e sulla vita. Woody Allen si congeda dallo spettatore attraverso queste sequenze; è infatti solo quando è finito il film che la storia comincia a ramificarsi nella coscienza dello spettatore, e a lui spetta la scelta se continuare ad avere nella propria vita questi personaggi come compagni di viaggio.

Il rapporto tra Ike e Tracy è tra un uomo maturo e una ragazza poco più che adolescente; è un delicato equilibrio tra l’esperienza e, a volte, il disincanto di lui e la spensieratezza e l’entusiasmo, spesso ingenuo, di lei. L’immagine che raffigura Ike e Mary, di spalle, seduti sulla panchina vicino al Queensboro bridge, alle prime luci dell’alba, è altamente iconica; è la più rappresentativa della filmografia di Allen. Coglie il momento di svolta nel loro rapporto, quando, dopo la diffidenza iniziale di lui per l’esasperato e presuntuoso intellettualismo manifestato da lei durante la visita alla galleria d’arte, imparano a conoscersi e apprezzarsi reciprocamente. È un’immagine contemplativa e, allo stesso tempo, intimista e romantica; esprime con forza la fascinazione di Ike verso la Grande Mela, in modo struggente, delicato e poetico. L’atteggiamento di Ike verso la sua città è ambivalente: nella sequenza iniziale afferma di amarla “nonostante sia una metafora della decadenza della cultura”: tende ad avere verso di essa un approccio nostalgico e mitico, pur essendo consapevole delle sue innumerevoli contraddizioni, che sono inevitabilmente legate al suo essere una enorme e affollata metropoli moderna.

Il regista ci mostra la variegata umanità metropolitana di New York, colta nella sua quotidianità; gran parte delle persone rappresentate sono persone comuni, mostrate durante gli svolgimenti dei loro lavori. Ike è portatore dei valori dell’intelligenza, della conoscenza, della profondità, della sensibilità; l’uso dell’ironia, pur non togliendo nulla a questi valori, lo riporta a una dimensione umana che, molto spesso, riesce nel delicato scopo di instaurare un’empatia tra lui e lo spettatore. La scena del ricevimento al quale Ike incontra Mary ci mostra una società che ha raggiunto un elevato livello di sofisticazione.

Lo spettatore che si è appassionato alla storia e osserva la scena in cui Ike, Tracy, Yale e Mary passeggiano insieme lungo un marciapiede di Manhattan, dopo la visita alla galleria d’arte, è preso dal desiderio di entrare nello schermo, nel mondo di finzione dei personaggi e conversare con loro di letteratura, arte, filosofia, amore, vita, morte, tutto quello che passa loro per la testa. Senza alcuna meta, semplicemente conversare e passeggiare per Manhattan, prendendosi con calma tutto il tempo disponibile. Potrebbero osservare l’Empire State Building e commentarne l’altezza, sorseggiare un drink seduti ai tavolini all’aperto di un locale sulla Fifth Avenue, concedersi un momento di riposo su una panchina di Central Park, perdersi nel turbinio di insegne luminose di Times Square. Questo balzo dell’immaginazione (l’incontro con i personaggi), che il lettore o lo spettatore compiono mentre leggono un libro o vedono un film, molto spesso, è solo un’operazione mentale assolutamente avulsa dalla realtà. In certi casi, tuttavia, quando lo spettatore è una persona intelligente e consapevole, può essere non solo una proiezione dei suoi desideri più profondi, ma anche un modo di porsi verso il film, dal quale si può tentare di capire perché per lui questa narrazione è così importante, quale è il suo valore, e quali effetti concreti può avere nella sua vita. In conclusione, “Manhattan” è legittimamente considerato il capolavoro di Woody Allen; dimostra una piena maturità nell’affrontare temi vari, profondi e impegnativi e, inoltre, una consapevolezza dei mezzi e delle potenzialità che il cinema mette a disposizione. 

                                                                                                          

Marco Peraio

Sono appassionato di fumetti e libri

Marco Peraio has 2 posts and counting. See all posts by Marco Peraio