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Resident Evil: Welcome to Raccoon City. La nostra recensione

Gli zombie sono tra capisaldi della tradizione horror e il cinema sembra non averne mai abbastanza. Eppure, da La Notte dei Morti Viventi a The Walking Dead, gli appassionati del genere sembrano già aver visto tutto o quasi: cannibalismo, tanto sangue, poca trama, perché sempre più spesso non sono i film ad ispirare altre forme d’arte come i videogiochi, ma il contrario.

Questo è il caso di Resident Evil e del nuovo capitolo Welcome to Raccoon City, il film di Johannes Roberts (47 Metri, 47 Metri: Uncaged) che arriverà nelle sale italiane il 25 Novembre 2021 per Sony Pictures. Il film è ispirato, infatti, a diversi videogiochi della saga Capcom, Resident Evil 1 e 2 e Resident Evil: Operation Raccoon City. Il cast include Kaya Scodelario (Skins), Neil McDonough (Minority Report, Desperate Housewives) e Hannah John-Kamen (Ant-Man and the Wasp, Il Trono di Spade).

Resident Evil: Welcome to Raccoon City segna un ritorno alle origini del franchise: Raccoon City è la città che un tempo fu la sede del colosso farmaceutico Umbrella Corporation e che, nel nuovo film, è diventato un luogo abbandonato del Midwest. In via ufficiale l’azienda non esiste più, i cittadini che hanno potuto ricostruirsi una nuova vita da qualche altra parte si sono trasferiti, tutti gli altri sono rimasti lì, a fare del proprio meglio per rendere sopportabile la vita di provincia. Insieme al fratello Chris, Claire Redfield ha trascorso gran parte della sua infanzia in un orfanotrofio della cittadina del quale ha pessimi ricordi. Ora adulta, la ragazza decide di riallacciare i contatti con il fratello, che lavora come poliziotto presso il Raccoon City Police Department. Tuttavia, quello di Claire non sarà un ritorno tranquillo: dopo aver accettato un passaggio da un camionista, capirà che a Raccoon City accadono ancora fatti misteriosi e terribili legati ai ricordi della sua infanzia. 

Ai tempi del suo debutto, con Milla Jovovich (era il 2002), Resident Evil aveva ancora il sapore della novità o, se non altro, del divertissement apocalittico, che si andava a vedere in compagnia per amore delle battaglie e dei travestimenti, parte di una realtà altamente improbabile. 

Nonostante la buona regia e un cast discreto, Resident Evil: Welcome to Raccoon City non aggiunge niente di nuovo a quello che abbiamo già visto dentro e fuori dal franchise: la premessa stessa, dell’orfanotrofio “infernale”, è stata ampiamente sviscerata al cinema; ci sono i soliti zombie che qui, nella fase di passaggio tra morte e non-morte, addirittura parlano e si lamentano e, oltre al virus-T, ci sono diverse varianti che trasformano i malcapitati in mostri deformi, spesso anche loro dotati del dono della parola. Nulla di sorprendente.

Come da tradizione, anche in Resident Evil: Welcome to Raccoon City, c’è poco tempo per rendersi conto di quello che succede: lo spettatore viene immerso quasi immediatamente nello stato d’emergenza in cui piomba la cittadina ed è subito un susseguirsi di contagi e combattimenti. 

Nel bel mezzo di una pandemia, della quale ancora non vediamo la fine, gli zombie non  divertono più come 20 anni fa. Forse perché la realtà ha superato la fantasia e, ad oggi, il mondo di Resident Evil sembra quasi plausibile. 

Lucia Gerbino

Giornalista specializzata in Musica, Cinema e Serie TV

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